Il proprio sogno è un dono che possiamo fare agli altri



Vi ho già parlato dell’importanza di vivere i propri sogni e oggi voglio parlarvi del mio. Ho già raccontato molte volte (potete leggerlo anche in qualche intervista sul mio sito www.anjazobin.com) che il mio amore per la scrittura è nato quando avevo all’incirca otto anni e ho visto in tv un episodio de La signora in giallo. Quella trama fatta di omicidi, mistero, presunte colpevolezze e sorpresa finale mi era piaciuta talmente tanto, che lo stesso giorno avevo deciso di scrivere anch’io un giallo. Scrissi metà pagina di un block notes A5 e mi resi conto che non doveva essere per niente facile scriverne uno: bisognava creare un quadro, tagliarlo a pezzetti come un puzzle, mischiare tutte le tessere e poi metterle in un ordine preciso affinché tutto avesse senso e portasse il lettore a ricreare il quadro d’inizio. Non è per niente facile farlo da adulti, figuriamoci a otto anni. E così me ne dimenticai per molto tempo. Ogni tanto scrivevo qualche storiella misteriosa, ma era un passatempo a cui non davo troppa importanza.

Quando cominciai a frequentare l’università, il primo anno a Giurisprudenza, mi ritrovai alquanto confusa sul da farsi. Da un lato non mi dispiaceva la facoltà, ma al tempo stesso non era qualcosa che mi riempiva di gioia; sentivo infatti l’attrazione verso una materia che aveva sempre suscitato in me grandi emozioni: l’archeologia. L’archeologia rappresentava quel mix di cose che io adoravo: storia e mistero. La terra infatti, come il mare, è per me custode di immense ricchezze. Così l’anno successivo mi iscrissi ad archeologia a Trieste. Ne sarò sempre felice, perché oltre alle materie da me amate, lì ho incontrato delle persone speciali e importanti per il mio cammino.

C’erano però anche altri argomenti che mi affascinavano: esoterismo, medianità, magia…e ancora la scrittura. L’anno prima, mentre frequentavo giurisprudenza e non mi sentivo nel posto giusto, durante le lezioni mi ritrovavo spesso a scrivere. Lo facevo per me. Creavo storie perché mi piaceva farlo, perché mi venivano naturali, perché in quei racconti potevo rivivere la storia e il mistero che tanto mi affascinavano. Evidentemente avevo un dono che stava cercando di fare breccia nella mia vita, una vita che però io tentavo di vivere nel modo classico: scuola, università, laurea, lavoro. Ma la vita aveva altri piani per me, perché sempre più si insinuava in me il desiderio di scrivere, di raccontare qualcosa.

All’inizio però non capivo, stavo semplicemente seguendo un hobby forse, oppure mi annoiavo e preferivo fuggire in un mondo di fantasia; gli scritti infatti erano solo miei, non li facevo leggere a nessun altro, erano storie che in qualche modo raccontavo a me stessa per passare il tempo, per evadere. Forse avevo un dono, qualcosa che sarebbe stato bello trasmettere agli altri, ma ero timida e l’idea che le persone leggessero cose da me scritte, mi imbarazzava. Con il tempo poi mi venne l’idea di lanciarmi nell’impresa più difficile: scrivere un romanzo…per me. Insomma le mie passioni continuavano a parlarmi: nonostante l’archeologia mi piacesse infatti, c’era questa musica di sottofondo che continuava a parlarmi di scrittura. Ma evidentemente io non ero pronta ad ascoltarla, nemmeno nel momento in cui mi era arrivata l’dea del romanzo. Niente, imperterrita continuavo a scrivere solo per me.

Ma poi arrivò un giorno. Un giorno che non dimenticherò mai, perché sono stati pochi attimi ma nei quali avrei capito il vero messaggio di questa passione. Nei giorni precedenti avevo comprato un romanzo che dalla quarta di copertina sembrava molto intrigante, ma una volta cominciato a leggerlo, veniva presentato subito l’assassino. Io non metto in dubbio che la storia potesse essere bella e intrigante lo stesso, ma a me toglieva quella suspance, quel mistero e quel gioco soprattutto che è indagare per scoprire il colpevole. Così un giorno mentre facevo la spesa, mi tornò in mente quel libro e pensai “io lo avrei fatto così così e così, sarebbe stato molto più intrigante” e lì qualcosa mi colpì nel profondo: e se anche qualcun altro fosse rimasto deluso da quella storia come me? Avrebbe forse preferito il mio sviluppo della narrazione? Quello è stato il momento in cui dentro di me, nel mio profondo, ho capito che avrei dovuto condividere con gli altri ciò che mi veniva così spontaneo…il mio dono. Avrei potuto continuare a scrivere solo per me, ma che senso avrebbe avuto? Mi immaginavo questi romanzi scritti e chiusi in un cassetto a prender polvere. Aveva senso? No. Stavo imparando a capire che quella vocina insistente che viveva dentro di me e che mi spingeva a scrivere per passione, era tutt’altro che una sciocchezza. Era la mia Anima che mi parlava e lo stava facendo da tempo. Io però non l’avevo compresa fino a quel momento, in cui ero diventata pronta per comprenderla davvero.

Avevo un dono, era giusto tenerlo per me? Spesso ho sentito artisti come ad esempio pittori affermare che una volta conclusa l’opera, un quadro ad esempio, quel quadro non appartiene più all’artista ma alle persone. Sono d’accordo: se è vero che da un lato scrivo per me, che lo faccio perché amo farlo, perché amo creare storie, perché mi sento viva mentre scrivo, dall’altro tutto ciò non avrebbe alcun senso se poi non lo condividessi con gli altri. Sarebbe come cucinare una torta perché mi piace farlo, ma poi lasciarla lì senza che nessuno la mangiasse. Che senso avrebbe? Per questo motivo è importante che ognuno di noi accetti il proprio dono, che cominci a credere in esso, qualunque esso sia, perché tutti ne abbiamo almeno uno; ed è altrettanto giusto poi condividerlo con gli altri.

Nella mia esperienza posso dire che se è vero che amo scrivere, che è qualcosa che mi riempie il cuore, è ancora più vero che coloro che hanno davvero riempito il mio cuore siete stati tutti voi che dopo aver letto i miei libri, mi avete raccontato cosa vi hanno donato. Ed è stata una vera sorpresa per me scoprire che ne avete ricevuto molto più di quello che pensavo di aver dato. Ed è stato questo il dono che voi avete fatto a me. Quindi alla fine quando metti a disposizione degli altri il tuo dono, non sei consapevole di quanto è grande quello che dai e soprattutto non hai idea di quanto sarà grande ciò che riceverai in cambio.

Si chiama dono perché ci viene donato, ma allo stesso tempo è un dono che anche noi possiamo fare agli altri. Allora crediamoci e facciamolo, perché la vera ricchezza non è il denaro che possiamo donare agli altri, la vera ricchezza siamo noi stessi.

Anja

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