Morire per rinascere: la morte iniziatica



La morte è stata da sempre motivo di grande paura, da un lato, ma anche di fascino e mistero dall’altro. La paura nasce dal fatto che in molti vedono la morte come il totale annientamento dell’uomo, come se in quel momento ciascuno di noi smettesse di esistere per sempre. Siamo nati dal nulla e nulla diventiamo. Ma già i popoli antichi avevano invece intuito che la morte fosse molto di più e che non rappresentasse affatto un momento di annientamento, ma semplicemente di trasformazione. La morte è infatti un momento estremamente sacro, come lo è la nascita. Pensiamo agli antichi Egizi e alla pratica della mummificazione, la costruzione delle tombe sontuose e ai tesori che vi introducevano, il tutto solo per garantire al faraone un degno Aldilà.

La natura d’altra parte tenta di spiegarcelo in tutti i modi che nulla si distrugge ma tutto si trasforma. Prendiamo ad esempio un tulipano. In primavera il tulipano si risveglia e per così dire viene al mondo, poi continua a crescere, arriva al suo massimo splendore che è il momento della fioritura naturalmente; infine comincia il suo declino fino ad appassire. Per noi il tulipano è morto. Nonostante questo però lui in primavera si risveglia nuovamente. E così si perpetua il ciclo della vita, perché di questo si tratta, di cicli che si susseguono.

Il momento della morte quindi, che potremmo chiamare anche morte iniziatica, in quanto dopo di essa nulla sarà come prima, viene seguito in genere da un periodo più o meno lungo di sonno “ristoratore” per poi ripartire nuovamente. È un po’ quello che stiamo vivendo ora nel mondo. In questo momento stiamo “morendo” per poi rinascere. Naturalmente non intendo in senso letterale ma in senso figurato. Il punto è che per rinascere, bisogna prima morire. Il bulbo del tulipano deve dormire durante l’inverno prima di poter ricominciare a svegliarsi e rifiorire. Deve necessariamente lasciar andare la vita precedente, perché quella vita gli ha dato tutto ciò che doveva dargli. Ora deve aprirsi al nuovo, alla vastità delle opportunità. 
La nascita e la morte sono i riti di passaggio più traumatici. Ma sono anche quelli che ci portano in dono i maggiori cambiamenti. La morte, che io preferisco in realtà chiamare trapasso, perché di questo si tratta, di un passaggio da un livello ad un altro, colpisce in modo particolare chi ci sta intorno, così come anche la nascita lo fa. L’arrivo di un bambino presuppone un grande cambiamento per i neogenitori e non solo per loro, così come il trapasso presuppone un grande cambiamento sia per chi ci lascia che per chi gli sta attorno.

È importante che ciascuno di noi lasci andare ciò che non gli serve più, perché ora siamo invitati a farlo su scala mondiale. Questo significa che c’è molto da fare per tutti, di lavorare su noi stessi, perché le trasformazioni che faremo non avranno impatto solo su di noi e su chi ci sta accanto, ma sul mondo intero. E non è poco, anzi! Ma finché non lo faremo, finché non lasceremo andare il marcio che c’era nella nostra vita, fin quando non avremo estirpato le erbacce che ci infestano l’orto, vorrà dire che la lezione non è stata appresa e non riusciremo a rinascere. Ma quando il risultato sarà raggiunto, allora potremo finalmente fare un passo nel mondo nuovo, potremo rinascere a nuova vita. Ora abbiamo il tempo di fare l’inventario di noi stessi ma soprattutto di fare pulizia. Esotericamente è interessante che quest’emergenza sia arrivata in inverno, il periodo conclusivo dell’anno, quello in cui la natura muore per poi rinascere. Ormai però siamo in primavera, quindi è inevitabile cominciare a pensare che sia ora di lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare pian piano a vivere. E certamente questo riguarda la vita esteriore, riprendere a uscire, a muoversi ecc, ma prima di rinascere nel mondo là fuori, bisogna rinascere nel nostro mondo interiore. È lì che si trova la chiave del cambiamento.

Lasciar andare il vecchio mondo però è sempre molto difficile per tutti, perché ci ostiniamo ad aggrapparci alle abitudini, a cose passate, a relazioni che non hanno più motivo di esistere. Abbiamo paura di restare soli, di essere destabilizzati dai cambiamenti, ma abbiamo anche paura di essere infelici per sempre. Ma per essere felici, se ora non lo siamo, dobbiamo necessariamente fare dei cambiamenti nella direzione della felicità. Ci ostiniamo a cristallizzarci in cose abitudinarie, fisse, sicure. Ma la vita è cambiamento, la vita è avventura! Abbiamo perso la gioia di vivere con gli occhi del bambino che non si preoccupa del futuro, ma solo di come rendere bello il suo presente. Abbiamo bisogno di riappropriarci di quel bambino interiore che risiede in noi, perché il non sapere spaventa, ma anche il sapere cosa ci riserva il futuro può farlo. Sapere che non abbiamo accanto la persona che vorremmo, o che non facciamo il lavoro che vorremmo, anche questo dovrebbe spaventarci. Anche la certezza di essere infelici dovrebbe spaventarci. Eppure sembra spaventarci più l’incertezza di ciò che sarà. Ma l’incertezza in realtà porta in sé il tutto, tutte le possibilità e tanta potenziale gioia. La certezza porta in sé invece solo una strada che sappiamo dove va, ma non mettiamo mai in conto che per quanto vogliamo aggrapparci a quella sicurezza, la vita si riserva sempre il compito di cambiare i nostri piani, se non sono in accordo con noi. Perché alla fin fine anche nella certezza in realtà c’è insicurezza. Perché non abbiamo firmato nessun contratto che ci assicuri che lavoreremo fino a quel giorno, che vivremo fino a quel giorno…un giorno potremmo perdere il lavoro, potremmo perdere la persona cara con cui pensavamo di passare la vita. Forse allora è meglio vivere con quell’emozione dell’ignoto che un po’ spaventa, certo, ma che ci emoziona e ci mantiene vivi: l’emozione di poter vivere in un mondo di possibilità tutte per noi.

Anja 

www.anjazobin.com

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